giovedì 30 dicembre 2010

C'è un D'Annunzio insolito

C'è un D'Annunzio insolito.

Non il viveur della Roma «bizantina» e il romanziere tombeur de femmes.


Non il Vate che ascolta la Natura. Non il novelliere che estrae dalla sua terra scenari veristi. È invece un D'Annunzio che narra Favole di Natale, raccolte in un libriccino pubblicato da Solfanelli in due edizioni andate presto esaurite e che nei mesi prossimi tornerà in libreria. La novità è che in queste novelle lo scrittore pescarese riecheggia la tradizione, riassembla parabole sentite più che lette e soprattutto s'abbandona a una cifra che non gli è consueta. Come nota Lucio D'Arcangelo nella prefazione, «non c'è stato movimento letterario che D'Annunzio non abbia toccato o precorso, a cominciare dal verismo per finire con la prosa d'arte». Ma «rare volte ha toccato le corde del fantastico, o, per meglio dire, del meraviglioso puro». E però questa affabulazione non è gravata da eccessi descrittivi, come spesso avviene nell'Immaginifico. La favole, tratte da «Parabole e novelle» date alle stampe nel 1916 a Napoli, sono asciutte e per questo ancora più efficaci. Insomma D'Annunzio ha perfettamente capito che questo tipo di letteratura deve essere il più possibile allusiva, per lasciare spazio alla immaginazione del lettore, al suo incantamento. Quella che pubblichiamo qui è intitolata tout court «Leggenda in terra d'Abruzzo» ed è appunto una parabola attualissima sul seme della discordia che s'incunea tra i popoli pur nel momento più commovente della teofania. «Il tesoro dei poveri», la più scarna e toccante, racconta di due anziani che nulla possedevano e che la notte di Natale si scaldano agli occhi di un pietoso gatto, un plot che nasce proprio da un detto popolare secondo il quale gli ultimi tizzoni nel camino si chiamano «occhi di gatto». Nella storia di San Làimo - navigatore, corsaro, poeta e poi santo - si alternano fede e violenza. «La figlia di Borea» ha un fascino antico nell'accumulo di eventi meravigliosi. Solo «Un albero in Russia» esce dalla nostra tradizione popolare e gira attorno a un abete ricco di luci come quello del principe «Schiaccianoci». Ma la liaison amorosa che vi si intreccia - il conte rubacuori alla fine intrigato da una diciottenne - rimanda al D'Annunzio dandy. E al letterato della contaminazione. Che comunque affascina.


Lidia Lombardi

http://www.iltempo.it/2010/12/30/1227064-annunzio_insolito.shtml



domenica 20 dicembre 2009

RECENSIONE di Salvatore Carrubba su RADIO 24: Un libro tira l'altro

Libri sul Natale - Libri per chi non ama il Natale

http://www.radio24.ilsole24ore.com/popup/player.php?filename=091220-un-libro-tira-altro.mp3

Buon appetito lettori! - Tre grandi attori
Natale è un'occasione anche per pensare agli altri. Lo si può fare con un libro, per esempio con "Volare Alto. Quel che ho imparato fin qui dalla vita" (Mondadori) i cui diritti andranno alla Fondazone sulla fibrosi cistica di cui l'autore, Matteo Marzotto, è il presidente.
L'atmosfera natalizia non piace a tutti, per questo motivo Salvatore Carrubba suggerisce anche letture con uno sguardo più ironico e meno idilliaco sul Natale.

Libri Recensiti
Aspettando il Natale. 25 racconti per la vigilia, Einaudi;
Favole di Natale, Gabriele D'Annunzio, Solfanelli editore;
Fiume. L'ultima impresa di D'Annunzio, Mimmo Franzinelli, Paolo Cavassini, Mondadori;
Volare Alto. Quel che ho imparato fin qui dalla vita, Matteo Marzotto, Mondadori;
Canto di Natale. Testo inglese a fronte, Charles Dickens, Alia;
Un canto di Natale. Testo inglese a fronte Charles Dickens, Marsilio;
Un canto di Natale, Charles Dickens, Interlinea;
Canto di Natale, Charles Dickens, Azimut;
Racconti di Natale. Ediz. integrale, Dickens Charles, 2009, Newton Compton;
La lega antiNatale, Michael Curtin, Marcos y Marcos;
Lettera alle Donne, Tenzin Gyatso (Dalai Lama), Catherine Barry, Rizzoli;
Confettino: Storie di saggezza da tutto il mondo, David Self, Edizioni Paoline;
Il dono del Natale. Riscopriamo il vero significato della festa, Rick Warren, Rizzoli;
Armonia delle stagioni. I tempi dell'uomo, della natura e della liturgia, Massimo Camisasca, Elio Ciol, Marietti.


http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?articolo=libri-natale-cultura

venerdì 31 ottobre 2008

RECENSIONE di Carla Arduini (Mangialibri)

La romantica avventura natalizia di Ina Baranoff – ex brutta anatroccola trasformata in leggiadra fanciulla – e del bel Dimitri Kiriline, conte dai molti amori che si converte alla monogamia grazie a un abete e a un orrendo regalo; come Gesù accolse i doni dei Magi e i problemi che ne seguirono; l’incontro con un gatto macilento riscalda magicamente la notte di due poverelli; la prodigiosa vita di Laimo: infante abbandonato, figlio adottivo di una coppia di sovrani, arcipirata ramingo per i sette mari sferzato da una smania insaziabile d’avventure e di pericoli, poi adorato come un dio da popolazioni selvagge e infine riconquistato alla vera fede, profeta, santo; se un giovane principe è deciso a trovare la sposa ideale, come minimo dovrà accollarsi qualche prova da superare, tanto più se l’eletta è Vijenda, figlia della terribile Borea: tra una maledizione e un tentativo d’omicidio, la felicità sudata avrà un sapore ancora più dolce…
Drammaturgo, poeta, narratore: tanti furono i talenti di Gabriele d’Annunzio (1863-1938), uno dei pochi autori italiani del periodo non malato di provincialismo e capace altresì di imporsi oltre i confini nazionali – meriti indubbi che vanno al di là del possibile fastidio che possono destare certe sue infelici scelte politiche, o l’ostentato dandismo, o la prepotente ed estenuata sensualità dello stile. Della proteiforme vocazione del vate, i cinque racconti (tratti da Parabole e novelle, una raccolta del 1916) raggruppati in quest’antologia, minuscola come una chicca, sono in effetti una sorta di ennesima conferma: la cadenza e il sapore sono quelli delle favole (ma senza rinunciare al gusto per lo stupore sensuoso e la preziosità di certe immagini esotiche), mentre la vena cui attingono (a eccezione dei mondani giochi di coppia di Ina e Dimitri) è quella delle leggende popolari del natio Abruzzo. Come se un quadro di Francesco Paolo Michetti fosse rimaneggiato da Gustave Moreau – o viceversa.

http://www.mangialibri.com/node/3059

domenica 25 novembre 2007

Il volto popolare del Vate decadente

«Penso ai pescatori della Pescara che partono con le belle paranze dipinte, prima dell’alba, nel vento di maestro, e hanno il gusto del sale in bocca», scrive D’Annunzio in uno dei cartigli che compongono il “Notturno”. È il 1916, un incidente aereo gli ha tolto l’uso di un occhio, costringendolo alla lunga convalescenza durante la quale attende alla sua opera più sofferta. In quei mesi, l’editore Bideri di Napoli gli pubblica “Parabole e novelle”, una raccolta di brevi scritti che appartengono ad altre stagioni della sua vena multiforme, mai davvero abbandonate, come dimostra l’evocazione del mattino sul mare, rivissuto quale patria dello spirito.
Dagli scritti contenuti in quella piccola edizione partenopea, escono le Favole di Natale, con le quali Solfanelli riapre una sua collana storica, “il Voltaluna”, diretta da Lucio D’Arcangelo, che continua così l’opera di riscoperta per anni condotta in collaborazione con Oreste Del Buono. È, questa, l’occasione per incontrare un D’Annunzio lontano dallo stereotipo dell’esteta prigioniero delle proprie eleganze, tanto da apparire, a una lettura superficiale, non dannunziano, almeno nell’accezione riduttiva, se non caricaturale, che il termine ha finito per assumere. Siamo infatti prossimi alle radici popolari che segnano l’esordio del narratore, testimoniate da “Terra Vergine” e dalle “Novelle della Pescara”.
Come osserva D’Arcangelo nella prefazione, in queste pagine lampeggianti D’Annunzio «racconta il tempo senza tempo della fiaba o ricostruisce, per pura magia verbale, la vita tenera e cruenta di un’antichità ideale». Ha infatti attinto alle leggende contadine della sua terra, l’Abruzzo, trascrivendo di prima mano dalle fonti orali di cui aveva diretta conoscenza, filtrate tuttavia attraverso una sensibilità squisita. Remote sopravvivenza pagane si mescolano così ai sentimenti etico-religiosi del cristianesimo, mentre le pagine si dischiudono ai registri del meraviglioso e del fantastico, che non si riscontrano altrove nella vasta produzione dell’Imaginifico.
Fa eccezione alla matrice tradizionale “Un albero in Russia”: la favola narra l’avventura natalizia di due aristocratici e appartiene, a pieno titolo, al versante mondano che aveva portato al successo il giovane D’Annunzio. L’incipit del racconto, con la «Santa Russia, cieca e selvaggia» che «empie del suo nome l’Europa inquieta», s’impone ai nostri occhi con la cupezza d’un presagio nefasto, che la lievità della scrittura non riesce a lenire.

RENATO BESANA
Libero, 25/11/2007, p. 29

giovedì 22 novembre 2007

Recensione di Renzo Montagnoli

Di questo autore fecondo ed eclettico (poeta, narratore, drammaturgo e commediografo) mi mancava solo il genere fantastico ed ecco allora che ho scoperto, grazie all’editore Solfanelli, anche questa autentica chicca, cioè cinque favole, di cui quattro attinte da leggende popolari abruzzesi.

La prima del volume, intitolata Un albero in Russia, non è una vera e propria fiaba, ma una sorta di avventura natalizia di due aristocratici russi e assomiglia più alla bozza di un normale racconto, non destando peraltro particolare interesse.

Invece, assai più importanti sono le altre quattro, una rivisitazione della tradizione popolare abruzzese tramandata oralmente e che D’Annunzio ha fissato sulla carta a modo suo. E quando dico a modo suo, pur riconoscendogli innegabili qualità letterarie, soprattutto nell’uso appropriato della lingua italiana, devo purtroppo lamentare l’eccessiva leziosità dello stile, con descrizioni sì di grande effetto, ma talmente minuziose che, oltre a non lasciar spazio alla fantasia del lettore, finiscono con il far passare in secondo piano la trama vera e propria.

Certo, è ben noto che l’eccesso è radicato in D’Annunzio, sia come uomo che come autore, e questo deriva da una vera e propria fobia narcisista, da un compiacimento di fare ogni cosa per dare risalto a se stesso. Così l’opera non acquisisce quel carattere di autonomia che la impreziosisce, ma diventa un mezzo per pervenire a un’autocelebrazione. Lucio D’Arcangelo, che ha stilato un’eccellente presentazione di questo volume, ne è ben conscio se scrive “ Al D’Annunzio narratore è stata spesso rimproverata la tendenza ad usare la descrizione a scapito della narrazione vera e propria.” E ovviamente corre al riparo, citando Henry James che dell’autore italiano ha scritto “ D’Annunzio possiede la qualità supremamente interessante del narratore: quella di fissare, per così dire, il tono di ogni gruppo di oggetti cui si avvicina, di fissarlo con densità e intensità “. Al riguardo però non bisogna dimenticare lo stile di questo scrittore americano, caratterizzato da lunghe frasi e digressioni, infarcite di aggettivi, con una minuzia di descrizioni analoga a quella di D’Annunzio e così si può facilmente spiegare il giudizio entusiasta.

Molto più personalmente ritengo che D’Annunzio poteva essere un grandissimo scrittore se fosse stato un uomo con un po’ più di umiltà, che certo gli difettava.

Comunque, le favole si lasciano leggere, pur con i limiti stilistici di cui ho detto e sono più adatte a degli adulti che a dei bimbi. Fra tutte la mia preferenza va a alla breve Il tesoro dei poveri, in cui, guarda caso, l’autore ha privilegiato la trama e il messaggio alla scrittura vera e propria. Questa favola è veramente bella e da sola vale l’intero libro, anzi consiglio vivamente di leggerla, perché il suo significato è talmente profondo che vi sembrerà di trovarvi di fronte a un D’Annunzio diverso, e forse, quando la scrisse, diverso lo fu veramente, perché antepose a se stesso una vicenda che nel finale è impreziosita da tonalità poetiche di notevole effetto.

Renzo Montagnoli

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=2917