giovedì 22 novembre 2007

Recensione di Renzo Montagnoli

Di questo autore fecondo ed eclettico (poeta, narratore, drammaturgo e commediografo) mi mancava solo il genere fantastico ed ecco allora che ho scoperto, grazie all’editore Solfanelli, anche questa autentica chicca, cioè cinque favole, di cui quattro attinte da leggende popolari abruzzesi.

La prima del volume, intitolata Un albero in Russia, non è una vera e propria fiaba, ma una sorta di avventura natalizia di due aristocratici russi e assomiglia più alla bozza di un normale racconto, non destando peraltro particolare interesse.

Invece, assai più importanti sono le altre quattro, una rivisitazione della tradizione popolare abruzzese tramandata oralmente e che D’Annunzio ha fissato sulla carta a modo suo. E quando dico a modo suo, pur riconoscendogli innegabili qualità letterarie, soprattutto nell’uso appropriato della lingua italiana, devo purtroppo lamentare l’eccessiva leziosità dello stile, con descrizioni sì di grande effetto, ma talmente minuziose che, oltre a non lasciar spazio alla fantasia del lettore, finiscono con il far passare in secondo piano la trama vera e propria.

Certo, è ben noto che l’eccesso è radicato in D’Annunzio, sia come uomo che come autore, e questo deriva da una vera e propria fobia narcisista, da un compiacimento di fare ogni cosa per dare risalto a se stesso. Così l’opera non acquisisce quel carattere di autonomia che la impreziosisce, ma diventa un mezzo per pervenire a un’autocelebrazione. Lucio D’Arcangelo, che ha stilato un’eccellente presentazione di questo volume, ne è ben conscio se scrive “ Al D’Annunzio narratore è stata spesso rimproverata la tendenza ad usare la descrizione a scapito della narrazione vera e propria.” E ovviamente corre al riparo, citando Henry James che dell’autore italiano ha scritto “ D’Annunzio possiede la qualità supremamente interessante del narratore: quella di fissare, per così dire, il tono di ogni gruppo di oggetti cui si avvicina, di fissarlo con densità e intensità “. Al riguardo però non bisogna dimenticare lo stile di questo scrittore americano, caratterizzato da lunghe frasi e digressioni, infarcite di aggettivi, con una minuzia di descrizioni analoga a quella di D’Annunzio e così si può facilmente spiegare il giudizio entusiasta.

Molto più personalmente ritengo che D’Annunzio poteva essere un grandissimo scrittore se fosse stato un uomo con un po’ più di umiltà, che certo gli difettava.

Comunque, le favole si lasciano leggere, pur con i limiti stilistici di cui ho detto e sono più adatte a degli adulti che a dei bimbi. Fra tutte la mia preferenza va a alla breve Il tesoro dei poveri, in cui, guarda caso, l’autore ha privilegiato la trama e il messaggio alla scrittura vera e propria. Questa favola è veramente bella e da sola vale l’intero libro, anzi consiglio vivamente di leggerla, perché il suo significato è talmente profondo che vi sembrerà di trovarvi di fronte a un D’Annunzio diverso, e forse, quando la scrisse, diverso lo fu veramente, perché antepose a se stesso una vicenda che nel finale è impreziosita da tonalità poetiche di notevole effetto.

Renzo Montagnoli

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=2917

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